Vocati al riso, fin dal XV secolo
Incorniciata dal corso di tre fiumi – Po, Ticino e Sesia – la Lomellina è, per ragioni geografiche, storiche e culturali, una delle aree maggiormente vocate alla coltivazione del riso in Europa. Da qui partirono i dodici sacchi di risone che nel settembre del 1475 Galeazzo Maria Sforza inviò al Duca di Ferrara, Ercole I d’Este: un gesto convenzionalmente accolto come l’atto di nascita della risicoltura nella pianura padana, ma anche la prova certa della presenza in loco del cereale al crepuscolo del medioevo. Secolo dopo secolo, la Lomellina fu modellata dalle risaie fino a raggiungere l’unicum paesaggistico odierno, con il riso a fare da fulcro ad un ecosistema bilanciato e interconnesso.
L’ottocento, Cavour e l’impulso alla risicoltura
Benché a lungo limitata dai provvedimenti delle autorità, in quanto ritenuta responsabile delle febbri malariche che colpivano la popolazione locale, verso la metà dell’Ottocento la risicoltura lomellina fu al centro di un importante processo di trasformazione del territorio, caratterizzato anche da risvolti politici, economici e sociali.
Ne dà testimonianza il dibattito parlamentare, occorso l’8 maggio 1850 alla Camera dei Deputati del Regno di Sardegna, su un disegno di legge relativo alla coltivazione del riso. Fotografano i cambiamenti del periodo le parole pronunciate in quell’occasione da Giovanni Battista Josti, deputato del collegio di Mortara:
“Signori, – affermò in risposta a chi voleva circoscrivere la diffusione del cereale, sostenendone l’insalubrità – la Lomellina è paese di paludi e di sabbie, è paese d’industria nascente, dove l’uomo aggiunge tutti gli anni qualche nuovo tratto di terra incolta alla produzione. Ma in grazia di chi? In grazia del riso. È in grazia del riso che noi abbiamo veduto le inospitali paludi delle vallate del Ticino e del Tardoppio, convertite prima in eccellenti risaie e poscia in bellissime marcite […] Proibite per queste terre il riso, e voi ritornerete alle paludi”.
Già l’anno successivo – tornata del 17 maggio 1851 – lo stesso Josti sollecitò al ministro dell’Agricoltura e delle Finanze, Camillo Benso conte di Cavour, la realizzazione di opere per potenziare l’approvvigionamento idrico in Lomellina, attingendo dalle acque della Dora Baltea. Richiesta che troverà soddisfazione, per quanto con una differente soluzione tecnica, tra il 1863 e il 1866: sarà infatti la realizzazione del Canale Cavour a dare nuovo impulso alla risicoltura, veicolando un netto incremento delle superfici coltivate. Una tendenza ulteriormente rafforzata con la costruzione del Canale Regina Elena, iniziata nel 1938 e ultimata nel 1954, che ancora oggi permette di integrare le carenze del Canale Cavour con le acque del Lago Maggiore.
Nuove varietà, sullo sfondo dei canti delle mondine
All’inizio del XX secolo lo sviluppo scientifico diede il via al miglioramento genetico del riso, attraverso la selezione o l’incrocio, per ottenere cultivar più resistenti e produttive. Nella prima metà del Novecento emersero le più famose varietà da risotto, come Carnaroli, Vialone Nano e Arborio, ma contestualmente si registrò anche un cambiamento dei regimi alimentari, favorito dalle massicce campagne pubblicitarie promosse dall’Ente Nazionale Risi.
È questa l’epoca del lavoro delle mondariso, fatto di fatiche, sfruttamento e rivendicazioni sociali, resa celebre da film come “Riso amaro” e “La risaia”: un periodo, durato diversi decenni, che vide le cascine lomelline popolarsi ogni anno di migliaia di lavoratrici stagionali, provenienti da tutte le regioni dell’Italia settentrionale. Figure, le mondine, che a distanza di decenni continuano ad affascinare l’immaginario collettivo con il loro corollario di significati culturali, aspetti folcloristici e memorie storiche. Su tutto spiccano i celebri canti della risaia, come “Senti le rane che cantano”, “Sciur padrùn dalle belle braghe bianche” e “Amore mio non piangere”, o il meno noto “Le mondine contro la cavalleria”, riferito ad un episodio realmente accaduto nel 1912 proprio in Lomellina, a Ferrera Erbognone.